MILANO - L’automobilista di Brescia che nonostante il rifiuto di sottoporsi all’alcoltest aveva avanzato ricorso alla Corte di Cassazione contro la sanzione subita per abuso di alcool, probabilmente non si aspettava l’esito della sentenza 4277/2024 del 2 giugno scorso in quanto, a suo parere, mancavano le prove incontrovertibili riguardo alla violazione commessa.
La Suprema Corte ha però confermato la condanna fondata sulle testimonianze dei poliziotti, introducendo una chiave di lettura che mostra una netta discontinuità rispetto al passato: “Poiché l’esame strumentale non costituisce una prova legale – si legge tra l’altro nella sentenza - l’accertamento della concentrazione alcolica può avvenire in base ad elementi sintomatici per tutte le ipotesi di reato previste dall’articolo 186 del Codice della strada (ovvero Guida sotto l’influenza di alcool, ndr) e qualora vengano oltrepassate le soglie superiori la decisione deve essere sorretta da congrua motivazione“.
Secondo gli Ermellini l’alcoltest ha smesso di rappresentare un requisito essenziale per dimostrare l’ubriachezza, diventando così un semplice indizio tra i molti e non essendo più necessario per accertare il reato di guida in stato di ebbrezza. Ne consegue, prosegue la sentenza, che in assenza dell’espletamento “di un valido esame alcolimetrico, il giudice di merito può trarre il proprio convincimento in ordine alla sussistenza dello stato di ebbrezza di adeguati elementi obiettivi e sintomatici, che nel caso in esame i giudici di merito hanno congruamente individuato in aspetti quali lo stato comatoso e di alterazione manifestato dall’imputato alla vista degli operanti, certamente riconducibile ad un uso assai elevato di bevande alcoliche, certamente superiore alla soglia di 1.50″.
Pur non entrando nel merito della pronuncia che merita sicuramente l’approfondimento tecnico dei nostri consulenti legali, mi limito a rilevare che la valutazione delle forze dell’ordine riferita ai sintomi riscontrati sul guidatore sospettato di violazione dell’art. 186 del Codice non posseggono la caratteristica dell’obiettività inconfutabile essendo strettamente correlati alla percezione di coloro che effettuano il controllo.
Questo aspetto pone forti perplessità per il semplice fatto che la valutazione del livello di ebbrezza lasciata alla soggettività sottopone chiunque ne sia interessato al rischio di una possibile disparità di trattamento rispetto ad altri guidatori che si trovino in analoghe condizioni e che manifestino identiche problematiche comportamentali.
Inoltre, vorrei introdurre un altro elemento di riflessione che non ho riscontrato nei commenti pubblicati in questi giorni consistente nella natura stessa dell’ubriachezza o intossicazione alcoolica che può diventare una vera e propria emergenza medica, tanto più quando il tasso alcolemico supera il 1,5 g/l come nel fatto in specie. Non essendovi dubbio che uno stato di possibile alterazione della salute possa essere valutato soltanto da personale medico, anche mediante accertamenti strumentali, esprimo un serio dubbio circa le competenze mediche di un poliziotto o di un carabiniere in servizio sulle strade italiane.
Un conto è quindi riconoscere agli operatori di Polizia e Carabinieri maggiore libertà d’azione e maggiore tutela nell’espletamento del proprio lavoro, altro è intraprendere percorsi rischiosi per i singoli e in fondo per l’intera collettività la quale non subisce alcuna fascinazione dalle derive autoritarie collegate alla “tolleranza zero” in fondo alle quali si nascondono seri pericoli per l’incolumità pubblica.
Roberto Bianchi