♦ Torno sulla questione dell’Insurtech perché le vele si stanno sgonfiando e gli skipper del mondo digitale sembrano avere perso l’entusiasmo che ostentavano quando erano convinti di poter conquistare il nuovo mondo assicurativo facendo piazza pulita dei consulenti professionali.
Intanto chiariamo che il neologismo deriva dalla fusione di insurance+technology e si riferisce all’innovazione dell’industria assicurativa guidata dalla tecnologia. Secondo Network Digital 360 “ad avere impatto sui modelli di business tradizionali sono la sharing economy, la blockchain, la cybersecurity, l’IoT, l’Intelligenza Artificiale”. Posta la personale insofferenza verso l’ostentazione sistematica della lingua inglese che costringe il lettore medio come me ad avere sempre con sé il proprio pronto soccorso linguistico per decriptare anche le più banali informazioni, stiamo parlando dell’insieme di attività che nel 2022 hanno drenato qualcosa come 450 milioni di euro dagli investitori, con proiezione verso il miliardo nel corso di quest’anno.
Un risultato molto lusinghiero, anche se considerato insufficiente dalle 120 startup italiane che incassano questo incessante fiume di denaro sottratto al mercato tradizionale, senza peraltro procurare un euro di fatturato alle imprese di assicurazione che hanno scommesso sulla disintermediazione tecnologica. Sì, raccolta zero, come dimostra il fatto che nessuno, dico nessuno e vi assicuro di avere letto centinaia di pagine sull’argomento, ne rende conto. Tanti proclami e nessun risultato concreto insomma, per buona pace degli agenti fregiati dalle rispettive mandanti del compito donchisciottesco di inutili ambasciatori digitali.
Che stia per finire la luna di miele tra gli affaristi di tutto il mondo che intravedono nell’intelligenza artificiale il business del millennio e gli amanti della tecnologia che vagheggiano persino una fidanzata robotica capace di compensare le loro carenze affettive?
Chissà, certo è che un certo Elon Musk, insieme ad altri 1.000 tra ricercatori e manager, ha chiesto in una lettera aperta indirizzata simbolicamente ai governi di tutto il mondo una moratoria di almeno 6 mesi per quello che viene definito l’”addestramento dei sistemi avanzati”.
Non è dato sapere se si tratti di un pentimento, o almeno di un parziale ripensamento, ma sta di fatto che i contenuti della missiva pubblicata dal Future of Life Insitute sono stati presi molto sul serio soprattutto laddove ammoniscono che l’Artificial Intelligence pone così tanti e “profondi rischi per la società e l’umanità” da lasciare spazio alla previsione di un possibile “scenario Terminator”. E le firme poste in calce al documento sono quantomeno prestigiose, da quella di Musk appunto, miliardario fondatore di Tesla e proprietario di Twitter a quelle di personaggi di grande peso come Steve Wozniak co-fondatore di Apple, Evan Sharp co-fondatore di Pinterest, Emad Mostaque fondatore di Stability AI e di centinaia di illustri docenti impegnati nei laboratori dei più prestigiosi atenei mondiali.
Al di là dell’aspetto quantitativo, ovvero economico, riferito allo spreco di risorse umane ed economiche impiegate per sviluppare fatturati che almeno nel settore assicurativo non esistono, oltreché qualitativo legato all’efficienza-efficacia del servizio prestato al cittadino, si pone pertanto una questione di portata epocale riguardante le prospettive di carattere etico e sociale del fenomeno.
Dopo i più o meno felici esperimenti imperniati sull’intelligenza artificiale come i robo-advisor, “consulenti finanziari” virtuali che pianificano progetti di investimento interamente automatizzati, dopo i comparatori utilizzati per quotare on line i rischi soprattutto Rcauto e i chatbot dedicati a simulare le conversazioni umane scritte o verbali in campo assicurativo, la sperimentazione è infatti progressivamente passata agli ambiti più delicati della vita umana. Basti pensare che nel febbraio scorso si è svolta in California la prima udienza tenuta da un avvocato difensore robot, definito “consulente legale” in quanto capace di analizzare in tempo reale i cavilli giudiziari e di suggerire mediante auricolare all’imputato, reo di avere superato i limiti di velocità, cosa dire o non dire al giudice allo scopo di evitare la relativa multa. Se sia giusto consentire all’intelligenza artificiale l’ingresso in un'aula di tribunale è ora argomento di acceso dibattito non soltanto negli ambienti forensi.
Di gennaio, inoltre, la notizia a dire poco scioccante che in Cina il robot Xiaoyi avrebbe superato a pieni voti l’esame per l’abilitazione all’esercizio dell’attività medica sebbene, almeno per il momento, le autorità non sembrino orientate a consentirne l’operatività in assenza di un medico in carne ed ossa, vista l’ammissione del suo project manager che l’automa meccanico “non saprebbe gestire gli imprevisti nella diagnosi e nel trattamento”.
Coloro che hanno creato questa situazione di disastro umanitario imminente come Musch e i suoi solidali, imitando il coccodrillo che versa lacrime dopo avere inghiottito la preda, si pongono quindi una serie di quesiti essenziali come: “Dovremmo lasciare che le macchine inondino i nostri canali di informazioni con propaganda e falsità? Dovremmo automatizzare tutti i lavori compresi quelli soddisfacenti? Dovremmo rischiare di perdere il controllo della nostra civiltà?”.
Mi unisco a queste riflessioni così tardive da risultare persino sospette e rilancio chiedendo a mia volta: dovremmo automatizzare il lavoro assicurativo lasciandolo in mano a “menti non umane” che potrebbero nel tempo diventare “più numerose e superiori in astuzia”, tanto da sostituire l’attività professionale prestata dagli agenti di assicurazione con la combinazione matematica delle stringhe alfa-numeriche di cui si compongono gli algoritmi, incapaci per loro stessa natura di prendere in considerazione tutte le variabili che soltanto la sensibilità e la coscienza umane sono in grado di valutare?
No, il prezzo da pagare per il consumatore sarebbe decisamente troppo alto e quindi inaccettabile. Meglio tenere stretta la nostra capacità di fare consulenza e assistenza, unica caratteristica inimitabile tanto dai simulatori tecnologici quanto, è forse il caso di ribadirlo, dai canali non professionali. Questa è la via maestra e gli utenti assicurativi sono ancora con noi.
Non lasciamoli allontanare cedendo alla seduzione fantassicurativa emanata dall’insurtech, del quale il cittadino non sente alcun bisogno, di farci surrogare da un programma elettronico.
Roberto Bianchi